Curiosità

Tassa del Diavolo e Anno Caraibico

Alessandro Virgili
October 5, 2023

Alcune curiosità sull'invecchiamento in botte e la spiegazione di alcune definizioni interessanti per capire meglio cosa stiamo bevendo...

L’invecchiamento e l’affinamento in botte storicamente appartiene ad una nicchia di prodotti, in particolare si sviluppa in aree dove erano presenti e reperibili le querce ed i legni adatti a questo scopo. La maggior parte degli spiriti sono tradizionalmente bianchi, come Rum, Tequila e Grappa, solo per fare alcuni esempi. Oltre a non essere presenti gli alberi adatti a produrre il legno da invecchiamento (che si può comunque trasportare), nelle zone dove si sono sviluppati questi prodotti mancano anche le condizioni climatiche adatte all’invecchiamento: perché questo processo di maturazione possa avvenire in maniera sostenibile, le botti devono poter sostare anche decenni in ambienti freschi e non troppo umidi.

Ogni anno di sosta nei barili causa una perdita di prodotto dovuta alla naturale porosità del legno e alla volatilità degli alcoli più leggeri. Questo fenomeno di ossido-riduzione ha però il vantaggio di concentrare parti più levigate e di consentire al distillato di guadagnare in gusto e morbidezza. Nella Charente (regione del Cognac) la percentuale di alcol che evapora viene romanticamente chiamata “La part des Anges“, la parte degli angeli, ed è presente massivamente nell’aria intorno ai “Paradis”, le cantine di stoccaggio delle botti. Gli scozzesi, più pragmatici, la chiamano tassa: “Angel’s Charge”. Questa percentuale può variare a seconda delle temperature e si attesta tra il 2 e il 3,5%, rappresentando una perdita di milioni di bottiglie ogni anno. Ai Caraibi, dove temperatura e umidità sono completamente diverse, si può arrivare ad una perdita annua di quasi il 12%, motivo per cui si parla di “Devil’s charge“, tassa dei diavoli! Vien da sé che in questi luoghi non è possibile mantenere un distillato in botte per più di 3-4 anni se non a fronte di una perdita onerosa di gran parte di prodotto.

Dunque, come mai troviamo riportati su molte etichette anni di invecchiamento pluridecennali? Il motivo principale si trova nei disciplinari di alcuni paesi che ammettono come sistema di calcolo l’Anno Caraibico, cioè un moltiplicatore empirico che si applica agli anni effettivi di sosta nei barili. Questo moltiplicatore viene calcolato in base proprio a quanto cambia la percentuale di evaporazione dei prodotti rispetto a paesi di riferimento come la Scozia o la Francia. I produttori che sostengono questa metodologia ci tengono a dire quanto anche l’evoluzione sia più veloce per via di questo fattore. Un Rum con 3 anni di botte può facilmente riportare in etichetta un bel 12 anni. Alcuni paesi non permettono questo metodo e di conseguenza sulle etichette ritroviamo diciture come “Ambré”, “Very old”, “Cordon bleu”, “Anejo” o più semplicemente il nome del prodotto contiene numeri che possono essere scambiati per invecchiamento. In Messico invece sono permesse dal CRT (Consejo Regulador del Tequila) solo diciture come Silver (6 mesi), Reposado (18 mesi), Anejo (36 mesi) o Extra Anejo (oltre 36 mesi). Le ex colonie europee che sono considerate ancora dipartimenti d’oltremare seguono invece le regole UE e ammettono che l’etichetta riporti esclusivamente l’anno di invecchiamento del prodotto più giovane in miscela.

Perché, se è così difficile questo processo, prodotti tradizionalmente bianchi finiscono nei barili? I motivi sono sia storici sia culturali: quando i produttori, a inizio novecento, hanno provato a passare dal consumo locale alla commercializzazione in altri paesi, si sono dovuti scontrare con i consumatori anglosassoni, notoriamente fautori di grandi volumi, che erano abituati a distillati ambrati come Cognac e Whisk(e)y e che non consideravano degni di pregio quelli bianchi. Complici alcuni eventi storici come il Proibizionismo o il crollo del mercato interno, questi produttori hanno dovuto evolvere la propria proposta commerciale per affacciarsi ai mercati esteri e hanno trovato metodi ingegnosi come l’anno caraibico per superare i problemi climatici delle rispettive aree di produzione.

La tendenza del mercato però sta invertendo in parte le sue abitudini e i consumatori sono sempre più interessati a versioni premium di questi prodotti non invecchiati. Come da tradizione, infatti, agave e canna da zucchero sono materie prime molto particolari e connesse al territorio, che riescono ad esprimere loro stesse nella stupenda varietà dei loro aromi senza l’interferenza di legni che non appartengono a quelle zone. Questi prodotti oggi sono sempre più diffusi grazie alla mano di produttori che hanno riscoperto il rapporto tra cultivar e territorio e che hanno trovato un pubblico di consumatori fertile e curioso.

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